Effetto Compton

EFFETTO COMPTON

17 anni dopo la spiegazione da parte di Einstein dell’effetto fotoelettrico, Compton (1922) scoprì l’effetto Compton che contribuì a rafforzare l’idea che la luce in alcuni casi si comporta come una particella.

L’effetto Compton consiste nella diffusione di un fascio di onde elettromagnetiche (raggi x di lunghezza d’onda λ) che incide una lastra di grafite; tale raggio diffuso ha due caratteristiche:

  1. un angolo di diffusione diverso da quello incidente;

  2. una lunghezza d’onda λ’ diversa da quella incidente λ: Δλ = λ’ – λ 0.

Le leggi dell’elettromagnetismo della fisica classica non spiega questo Δλ: un elettrone all’interno di un atomo se colpito da una radiazione che oscilla con una certa frequenza farà oscillare l’elettrone con la stessa frequenza, ma una carica che oscilla si comporta come un’antenna ed emette una radiazione elettromagnetica con la sua stessa frequenza e quindi con la stessa frequenza del raggio incidente; perciò per la fisica classica non può esserci un Δλ in quanto la frequenza dell’onda elettromagnetica emessa è la stessa di quella incidente.

Descrivendo la luce come composta da fotoni (particelle di luce), quando uno di essi colpisce un elettrone è come se avvenisse un urto fra particelle: immaginate una palla da biliardo ferma (sarebbe l’elettrone) e un’altra palla da biliardo che la urta (sarebbe il fotone); dopo l’urto le due palle proseguiranno lungo due differenti direzioni e una parte dell’energia del fotone è stata ceduta all’elettrone. Poiché l’energia del fotone è strettamente legata alla sua frequenza (e quindi alla lunghezza d’onda), una perdita di energia del fotone equivale ad una diminuzione di frequenza e quindi ad una maggiore lunghezza d’onda del raggio diffuso (ricordiamo che la lunghezza d’onda è inversamente proporzionale alla frequenza).

Considerando che tale fenomeno può essere studiato come urto fra due particelle, tale effetto può essere studiato con la conservazione della quantità di moto (impulso) e dell’energia. Naturalmente poiché l’urto coinvolge il fotone, cioè una particella che si muove alla velocità della luce, i principi di conservazione della quantità di moto e dell’energia devono essere relativistici. Il legame tra questi due principi e per qualunque particella è dato dalla seguente:

dove p è l’impulso (la quantità di moto) e c è la velocità della luce.

Tale legame si riduce a:

  1. E = m c2 per una particella ferma (v = 0 => p = 0);

  2. E = p c per un fotone (una particella che ha una massa non può muoversi alla velocità della luce => affinchè il fotone possa muoversi alla velocità della luce deve essere m = 0).

Poiché Einstein ci ha detto che i fotoni hanno energia

E = ħ ω

dalla 2. sappiamo che p = E/c = ħ ω/c = ħ k e quindi

p = ħ k

dove k è il vettore d’onda.

Se indichiamo con l’apice singolola situazione dopo l’urto e con m la massa dell’elettrone, applicando il principio di conservazione dell’energia abbiamo che l’energia iniziale del fotone ω) + l’energia iniziale dell’elettrone fermo (mc2) deve essere uguale all’energia finale del fotone diffuso (ħω’) + l’energia finale dell’elettrone in movimento ( ):

principio di conservazione dell’energia: ħ ω + mc2 = ħ ω’ + .

Applicando il principio di conservazione dell’impulso, poiché l’elettrone è fermo non ha un impulso ma abbiamo solo l’impulso iniziale del fotone (ħ k) che deve essere uguale all’impulso del fotone diffuso (ħ k’) + l’impulso dell’elettrone (p’):

principio di conservazione dell’impulso: ħ k = ħ k’ + p’.

In queste due equazioni non conosciamo l’impulso dell’elettrone p’; quindi ricavando p’ e uguagliando i secondi membri scompare l’incognita p’. Se si determina ω – ω’ (differenza fra la frequenza incidente ω e quella diffusa ω’), si ricava che l’energia del fotone incidente – l’energia del fotone diffuso è una quantità positiva che dipende dall’angolo θ cioè dalla direzione di diffusione.

Dividendo ω – ω’ per il prodotto ω ω’, possiamo determinare 1 / ω’ – 1 / ω. Riportando la differenza di frequenza in termini di differenza di lunghezza d’onda (λ = 2πc / ω) troviamo la relazione fra la lunghezza d’onda diffusa e quella incidente.

Tutto ciò consente di determinare che il Δλ dipende dall’angolo di diffusione:

Δλ = λ’ – λ = h/(mc) ∙ (1 – cosθ)

dove h/(mc) = 2,4 1010 cm è una lunghezza d’onda piccola rispetto alle lunghezze d’onda dei raggi x che sono dell’ordine di 109 m = 107 cm ed è detta lunghezza d’onda Compton dell’elettrone.

Se θ = 0 non c’è differenza di lunghezza d’onda, in caso contrario il fotone perde parte della sua energia ed aumenta la lunghezza d’onda cioè diminuisce la frequenza e quindi l’energia.

L’effetto Compton diede un’ulteriore conferma che la luce in alcune circostanze si comporta come un corpuscolo.

Prof. Vito Egidio Mosca
Imparare la Fisica

 

Pubblicato da impararelafisica

Come è bello conoscere tante cose e non saperne altre, ma è ancora più bello scoprirne delle nuove anche se già scoperte da altri. Mosca Vito Egidio, Docente di Matematica e Fisica, Liceo Scientifico. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2009 dell'AIF. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2016 dell'AIF.