Etere

Maxwell aveva determinato che le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto con una velocità c:

Questa velocità coincideva con la velocità di propagazione della luce nel vuoto (1849: il fisico francese Fizeau misura una velocità c di circa 3 · 108 m/s) e quindi Maxwell dedusse che la luce fosse un’onda elettromagnetica. Poiché nella seconda metà dell’ottocento vi era una visione meccanicistica dei fenomeni naturali, vi era l’esigenza di individuare un mezzo meccanico che potesse entrare in vibrazione e trasportare questa onda. Poiché la luce che dal Sole giunge sulla Terra attraverso lo spazio vuoto, questo mezzo non può essere l’aria.
Inoltre, poiché ε0 e μ0 sono costanti universali (indipendenti dal sistema di riferimento inerziale considerato), la velocità c deve essere la stessa indipendentemente dal moto del sistema di riferimento. Ciò è però in contraddizione con la legge di composizione delle velocità di Galileo. Per risolvere questa contraddizione e per la visione meccanicistica dei fenomeni naturali si ipotizzo l’esistenza di un mezzo di propagazione chiamato etere che avesse le seguenti caratteristiche:

  • inodore;
  • insapore;
  • incolore;
  • impalpabile;
  • imponderabile (non ponderabile: il suo peso è tanto esiguo che non si può valutare con i comuni mezzi);
  • pervade tutto lo spazio.

Inoltre doveva essere l’unica cosa dell’universo priva di movimento e perciò era un sistema di riferimento inerziale privilegiato (sistema di riferimento inerziale assoluto). Si pensava quindi che soltanto in questo sistema di riferimento in quiete (rispetto al Sole e alle altre stelle) la luce viaggiasse alla velocità c; in altri sistemi di riferimento continua a valere la legge di composizione delle velocità di Galileo. Chiunque avesse una velocità rispetto all’etere avrebbe dovuto misurare una velocità della luce diversa da c. E’ la stessa cosa che avviene per l’effetto Doppler per le onde sonore dove la velocità del suono è di circa 340 m/s rispetto all’aria (che rappresenta il mezzo che trasporta l’onda sonora). Se l’osservatore o la sorgente è in moto rispetto all’aria, la frequenza percepita dall’osservatore è diversa. Nel caso della luce il riferimento non è l’aria ma l’etere.
Dopo aver accettato l’esistenza dell’etere, bisognava dimostrarne l’esistenza tramite un esperimento noto come esperimento di Michelson e Morley. L’esperimento si basa sul seguente concetto:

  1. la luce nel sistema di riferimento etere viaggia al velocità c;
  2. se ho un sistema di riferimento in moto con velocità v rispetto all’etere (ad esempio la Terra), la luce viaggerà a velocità c’ ≠ c;
  3. se misuro c’ ed è diversa da c, avremo dimostrato l’esistenza dell’etere.

Prima di passare all’esperimento di Michelson e Morley, facciamo la seguente osservazione (fisica classica). Consideriamo un sistema di riferimento inerziale fisso S solidale con l’etere (la velocità della luce è c) ed un sistema di riferimento inerziale S’ che si muove a velocità costante v (la velocità della luce è c’). Inizialmente O e O’ coincidono. Inviamo un raggio di luce lungo la stessa direzione e lo stesso verso di v. Sia Δt il tempo impiegato dal raggio di luce per percorrere il tratto OP = cΔt. In questo stesso intervallo di tempo il sistema di riferimento S’ si è spostato verso destra di un tratto vΔt. Perciò la luce ha percorso O’P = c’Δt.

OP = OO’ + O’P => cΔt = vΔt + c’Δt => c = v + c’ => c’ = c – v (velocità della luce misurate nel sistema di riferimento S’).

Si osservi che da una misura di c’ nel sistema S’ si potrebbe dedurre la velocità v del sistema S’ rispetto all’etere. Se questo sistema S’ fosse la Terra, la velocità v sarebbe la velocità della Terra rispetto all’etere. Il moto della Terra rispetto all’etere si manifesta come il moto (con verso opposto) dell’etere rispetto alla Terra noto come “vento d’etere“. La velocità della luce misurata nel sistema di riferimento Terra è c – v quando si è controvento (cioè quando la luce ha lo stesso verso della velocità della Terra) e c + v quando si propaga con vento a favore (cioè quando la luce ha verso opposto alla velocità della Terra). Dove v è la velocità della Terra di circa 3 · 104 m/s.

ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY

Michelson realizzò in Germania il primo esperimento esplicitamente finalizzato a verificare l’influenza del moto della Terra, rispetto all’etere, sulla velocità della luce. Nel 1887 ripeté l’esperimento con il connazionale Morley. Lo strumento ottico utilizzato è l’interferometro:

  • una lastra di marmo galleggia dentro una vasca piena di mercurio in modo che il sistema possa essere orientato facilmente;
  • una sorgente S emette un fascio luminoso che giunge su un vetro M semitrasparente (semiargentato) che divide il raggio incidente in due;
  • il raggio che attraversa M raggiunge lo specchio M’, viene riflesso, torna verso M e lo riflette su uno schermo;
  • il raggio che viene riflesso da M raggiunge lo specchio M”, viene riflesso, torna verso M e lo attraversa fino a raggiungere lo stesso schermo;
  • i due raggi si sovrappongono e formano una figura di interferenza sullo schermo.

Indichiamo con d le distanze MM’ e MM” e supponiamo che l’interferometro (la Terra) si stia muovendo con velocità v come in figura. Il tempo t’ impiegato per percorrere il tratto d = MM’ è

Per il calcolo del tempo nel tratto MM” bisogna considerare che lo specchio si sta muovendo verso destra e quindi il percorso effettivo (percorso dei raggi visto nel sistema di riferimento dell’etere) è un triangolo

La differenza di questi tempi t” – t’ dovrebbe produrre, durante la rotazione dell’interferometro, uno spostamento delle frange di interferenza. Ruotando il dispositivo di 90° si aspettavano uno spostamento di frange di

Dove 2d è la somma delle lunghezze dei due bracci dell’interferometro che, grazie ad un sistema di riflessioni multiple, superava i 20 m. Poiché il rapporto v2/c2 è dell’ordine di 10-8 era necessario avere uno strumento di misura che avesse un’incertezza relativa di 10-8.
Questo spostamento si basa sull’aver ritenuto valide le equazioni di Maxwell e le trasformazioni galileiane. L’esperimento venne ripetuto sia di giorno che di notte (per tener conto della rotazione terrestre) e in diversi periodi dell’anno (per tener conto del moto di rivoluzione terrestre). Ma Michelson e Morley non registrarono alcuno spostamento di frange e quindi non riuscirono a misurare la velocità v della Terra rispetto all’etere (non venne rilevata alcuna velocità della Terra rispetto all’etere). Dal 1887 al 1905 si è cercati di salvare questa teoria dell’etere.

INTERPRETAZIONE DELL’ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY

Prima di passare alle varie ipotesi, descriviamo brevemente il fenomeno dell’aberrazione spaziale dovuta all’astronomo inglese Bradley (1727): per osservare la luce di una stella occorre inclinare il telescopio di un angolo pari a 20,5’’ dovuto al moto relativo della Terra rispetto all’etere.

Nel 1817 Fresnel aveva previsto che la luce potesse essere parzialmente trascinata da un mezzo (ad esempio l’acqua) in movimento. Per verificare quest’ipotesi Fizeau fece nel 1851 un esperimento interferometrico e dimostrò che la luce non veniva trascinata dall’acqua.

Risultato immagini per esperimento di fizeau

Vediamo alcune delle tante ipotesi a giustificazione dell’esperimento di Michelson e Morley.

IPOTESI DEL TRASCINAMENTO DELL’ETERE (IPOTESI DI STOKES): ipotizza che l’etere fosse un mezzo viscoso e pertanto la Terra poteva trascinarlo. Perciò, essendo l’etere fermo rispetto alla Terra, la misura della velocità della Terra rispetto all’etere dava un risultato nullo. Questa ipotesi è però in contrasto sia con il fenomeno dell’aberrazione stellare (che si spiega con il moto della Terra rispetto all’etere) che con l’esperimento di Fizeau.

IPOTESI DELLE TEORIE EMISSIVE: la velocità della luce è c non rispetto all’etere ma rispetto alla sorgente che la emette. Tale ipotesi è però in contrasto con il fatto che sarebbe l’unica onda ad avere una velocità di propagazione che non fa riferimento al mezzo di propagazione. Contraddice l’esperimento di De Sitter sulle stelle che ruotano una intorno all’altra (stelle binarie) perché se fosse vera tale ipotesi si vedrebbe una deformazione dell’orbita di questo sistema. Infine, è un’ipotesi in contraddizione con gli esperimenti simili a quello di Michelson e Morley fatti con la luce proveniente dalle stelle (e non solidali con la Terra) che conducevano comunque a risultati nulli.

IPOTESI DI LORENTZ
Tra le diverse ipotesi a giustificazione del fallimento di una misura della velocità della Terra rispetto all’etere vi è quella del 1893 di Lorentz. Secondo l’ipotesi di Lorentz il vento d’etere causerebbe un mutamento dell’intensità delle forze elettromagnetiche che mantengono coeso un corpo e ciò causerebbe una variazione delle dimensioni del corpo allineate con la velocità del vento d’etere. Lorentz dimostrò matematicamente che un corpo di lunghezza x in moto con velocità v rispetto all’etere subisce una variazione di tale dimensione:

x’ = γ(x – vt)
dove γ è il fattore di Lorentz.

Il problema di tale teoria è che non è verificabile sperimentalmente perché si contraggono sia gli oggetti che gli strumenti di misura.
Secondo tale teoria, i bracci dell’interferometro subiscono una contrazione nella direzione della velocità v rispetto all’etere rendendo diverse le lunghezze dei bracci dell’interferometro; ciò compensava la diversa velocità della luce lungo le due direzioni perpendicolari e non consentiva di rilevare la velocità della terra rispetto all’etere. Secondo Lorentz, dall’esperimento di Michelson e Morley, si doveva trarre la seguente conclusione: il valore della velocità della luce è c soltanto nei sistemi di riferimento in quiete rispetto all’etere; in tutti gli altri sistemi inerziali l’effetto del vento d’etere altera le convenzionali misure di lunghezze in modo da rendere le variazioni di c del tutto inosservabili.

Lorentz introdusse anche il concetto di tempo locale come artificio matematico, privo di un significato fisico: detto t il tempo misurato nel sistema di riferimento S dell’etere, egli associò ad un dato sistema inerziale S’, in moto rispetto a S, una coordinata temporale t’ che chiamò tempo locale:

Le trasformazioni delle coordinate spaziali e temporali di due sistemi inerziali in moto relativo (ad esempio lungo l’asse delle ascisse) prendono il nome di trasformazioni di Lorentz:

Per le coordinate x e t in funzione di x’ e t’ è sufficiente cambiare il segno – del numeratore con il +.
Per valori di v << c le trasformazioni di Lorentz diventano semplicemente:

Consideriamo un segnale luminoso nel sistema xyz lungo l’asse delle x:

x = c t

Qual è la relazione fra x’ e t’ nel sistema x’y’z’? Applicando le trasformazioni di Lorentz troviamo:

Quest’ultima rappresenta la legge di propagazione della luce nel sistema x’y’z’, che si muove ancora con velocità c. Inoltre tale legge si presenta nella stessa semplice forma di x = c t cioè tale legge è invariante rispetto alle trasformazioni di Lorentz.

Nel 1904 lo scienziato francese Poincaré estendeva il principio di relatività (cioè l’equivalenza di tutti i sistemi inerziali) anche ai fenomeni elettromagnetici. Le equazioni di Maxwell, che racchiudono le conoscenze sui fenomeni elettrici e magnetici, risultano invarianti rispetto alle trasformazioni di Lorentz. Le trasformazioni di Lorentz sono un puro artificio matematico per rendere le equazioni di Maxwell invarianti rispetto al sistema di riferimento.

COME NASCE LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ RISTRETTA DI EINSTEIN

L’introduzione delle ipotesi a giustificazione dei risultati di Michelson e Morley rendeva conto della fenomenologia sperimentale ma andavano contro altri fenomeni; cioè se si utilizzava l’etere non si riusciva a trovare un modo per salvare i risultati di tutti gli esperimenti. Il fallimento dei tentativi di salvare questa teoria dell’etere indusse Einstein ad introdurre i suoi due postulati di relatività nella sua opera del 1905 Einstein sull’elettrodinamica dei corpi in movimento. Einstein si sofferma sull’interazione tra un magnete ed un conduttore (un circuito). Nell’interpretazione di Maxwell l’avvicinare un circuito ad un magnete o l’avvicinare un magnete ad un circuito rappresentano due interpretazioni differenti. Nel caso della spira in moto (flusso tagliato) rispetto al magnete, gli elettroni del circuito sono in moto rispetto al campo magnetico e quindi la forza di Lorentz spinge gli elettroni (F = qv x B) e genera la corrente indotta. Nel caso di un magnete che si muove verso un circuito fisso (flusso concatenato), poiché la v del conduttore e quindi delle cariche è zero allora la forza di Lorentz è zero. Quindi ci si aspetta assenza di corrente ed invece si registra lo stesso valore di corrente del caso di flusso tagliato. Questa corrente si spiega introducendo la legge fisica di Faraday-Lenz. Secondo Maxwell nel caso del flusso tagliato il conduttore è in moto rispetto all’etere ed il magnete è fermo (rispetto all’etere); nel caso di flusso concatenato ho il magnete in moto rispetto all’etere ed il circuito fermo. E’ una situazione simile a quella dell’effetto Doppler dove si distinguono due casi: sorgente in moto ed osservatore fermo rispetto all’aria (cioè rispetto al sistema in cui si propaga l’onda), sorgente ferma ed osservatore in moto rispetto all’aria. Secondo Maxwell il flusso tagliato ed il flusso concatenato sono due fenomeni distinti proprio come lo sono sorgente in moto/osservatore fermo e sorgente ferma/osservatore in movimento nell’effetto Doppler. Non si tratta dello stesso fenomeno osservato da due sistemi di riferimento inerziali diversi perché ciò che li distingue è la presenza dell’etere, così come lo è la presenza dell’aria nell’effetto Doppler. Inoltre, la relatività galileiana (tutti i sistemi di riferimento inerziali sono equivalenti per i fenomeni meccanici) vale solo per i fenomeni meccanici e non per quelli elettromagnetici.

C’è quindi un’asimmetria che non c’è nel fenomeno (i risultati sono gli stessi).

Con il primo postulato, Einstein estende la validità della relatività galileiana a tutti i fenomeni fisici: le leggi della fisica sono le stesse (hanno la stessa forma) in tutti i sistemi di riferimento inerziali (equivalenza delle leggi fisiche). Cioè qualunque sistema di riferimento inerziale è equivalente per la descrizione di qualunque fenomeno fisico.

Perciò Einstein abbandona l’idea dell’esistenza di un sistema di riferimento privilegiato rispetto agli altri cioè abbandona l’idea dell’etere. Con Maxwell, il flusso tagliato e il flusso concatenato sono due fenomeni diversi perché in un caso c’era un circuito in moto rispetto all’etere e nell’altro caso un magnete in moto rispetto all’etere. Con Einstein, non essendoci un sistema di riferimento privilegiato, i due fenomeni sono in realtà lo stesso fenomeno ma visto da due sistemi di riferimento diversi: non è il fenomeno a cambiare ma semplicemente il sistema di riferimento e poiché le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali allora si tratta dello stesso fenomeno. Eliminando l’ipotesi dell’etere i due fenomeni rappresentano lo stesso fenomeno. Si noti che nel caso dell’effetto Doppler non è possibile eliminare l’aria perché non ci sarebbe la propagazione dell’onda; poiché nell’effetto Doppler non può essere tolta l’aria, i due fenomeni (sorgente in moto/osservatore fermo e sorgente ferma/osservatore in moto rispetto all’aria) sono due fenomeni distinti. (Nel caso dell’effetto doppler relativistico, sorgente in moto ed osservatore in moto hanno la stessa formula.)

Nel secondo postulato della relatività ristretta si ha l’invarianza della velocità della luce: la velocità della luce nel vuoto c è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Il fatto che questo principio vada contro la nostra esperienza quotidiana lo rende difficile da accettare.

L’effetto di questi due principi è il superamento delle trasformazioni galileiane con quelle di Lorentz. Queste trasformazioni sono note come trasformazioni di Lorentz (anche se le ipotesi di Lorentz non erano verificabili sperimentalmente) anche se Einstein le ritrova partendo dai suoi due postulati ed in maniera indipendente da Lorentz. Il fattore di Lorentz ci fa comprendere del perché non riusciamo a vedere facilmente questi fenomeni. Le trasformazioni di Lorentz hanno la caratteristica di diventare le trasformazioni di Galileo per v << c. Tra le conseguenze delle trasformazioni di Lorentz vi è anche l’abbandono del concetto di tempo che scorre in maniera uniforme in tutti i sistemi di riferimento (dilatazione dei tempi), la contrazione delle lunghezze e la simultaneità degli eventi. La differenza tra la teoria di Lorentz e la teoria di Einstein consiste nel fatto che queste ultime possono essere verificate sperimentalmente.

EINSTEIN

Nel 1905, all’età di ventisei anni, Einstein era a conoscenza sulla giustificazione di Lorentz relativamente all’esperimento di Michelson e Morley, ma non era a conoscenza delle trasformazioni di Lorentz. Nel suo articolo sulla giustificazione “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, considerando il fallimento di tutti i tentativi di individuare il vento d’etere, affermava che l’etere non era necessario per far propagare un’onda elettromagnetica. Einstein riprende il concetto di campo introdotto da Faraday per cui la presenza di cariche elettriche e di magneti altera lo spazio circostante e questa condizione perturbata dello spazio, chiamato campo, si manifesta sotto forma di forze agenti sulle altre cariche (o magneti) eventualmente presenti. Il campo va inteso come perturbazione dello spazio indipendentemente dalla presenza o meno di corpi che ne avvertono gli effetti. Perciò le onde elettromagnetiche, e quindi anche la luce, non avevano bisogno di alcun substrato (come l’etere) per esistere perché potevano essere pensate come oscillazioni dei campi elettrici e magnetici (e non dell’etere) in grado di propagarsi anche nel vuoto. In questo modo tramonta l’era del meccanicismo cioè l’idea che tutti i fenomeni fisici dovessero essere spiegati in termini di oggetti materiali.

Prof. Vito Egidio Mosca

Pubblicato da impararelafisica

Come è bello conoscere tante cose e non saperne altre, ma è ancora più bello scoprirne delle nuove anche se già scoperte da altri. Mosca Vito Egidio, Docente di Matematica e Fisica, Liceo Scientifico. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2009 dell'AIF. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2016 dell'AIF.