Effetto fotoelettico

EFFETTO FOTOELETTRICO

Nel 1887 Hertz scopre casualmente l’effetto fotoelettico che consiste nell’emissione, in particolari condizioni, di elettroni tramite una radiazione elettromagnetica che incide su una lastra di metallo.

Secondo la fisica classica le onde elettromagnetiche trasportano energia e colpendo una lastra metallica si trasferisce tale energia sugli elettroni che possono essere estratti dalla piastra stessa (se l’energia trasferita è maggiore uguale alla quantità minima di energia necessaria (detta funzione lavoro L); la funzione lavoro varia da metallo a metallo). C’è però un problema che nasce da alcune delle tre caratteristiche dell’effetto fotoelettrico:

  1. condizione di soglia ω > ωS: emissione di elettroni solo quando la frequenza ω dell’onda e.m. incidente è superiore ad un certo valore ωS. Secondo la fisica classica (equazioni di Maxwell) l’energia dell’onda e.m. non dipende dalla frequenza (dalla lunghezza d’onda, dal colore della luce) ma dall’intensità della radiazione. Quindi la fisica classica non riesce a spiegare la dipendenza dall’effetto fotoelettrico dalla frequenza;

  2. il numero di elettroni emessi è direttamente proporzionale all’intensità dell’onda e. m.. Tale caratteristica è spiegata dalla fisica classica in quanto una maggiore intensità è legata ad una maggiore energia che a sua volta è legata ad una maggiore capacità di estrazione e quindi un maggiore numero di elettroni estratti;

  3. l’energia cinetica degli elettroni emessi è direttamente proporzionale alla frequenza ω (lunghezza d’onda) dell’onda e.m. incidente. Anche tale caratteristica non può essere spiegata dalla fisica classica perché ci si aspetta che l’energia degli elttroni sia legata all’energia dell’onda incidente e quindi alla sua intensità e non alla sua frequenza.

Nel 1905 Einstein fornisce una spiegazione dell’effetto fotoelettrico: l’onda elettromagnetica è formata da particelle di luce di energia pari al quanto di energia introdotto da Planck per il corpo nero: E = ħ ω dove h è la costante di Planck. Attualmente tali particelle di luce vengono chiamati fotoni. Fatta l’ipotesi di campo elettromagnetico costituito da particelle tutte e tre le caratteristiche dell’effetto fotoelettrico trovano una spiegazione mediante l’assorbimento di un fotone da parte di un elettrone:

  1. condizione di soglia ω > ωS: se E = ħ ω > funzione lavoro => l’elettrone può essere emesso; cioè se l’energia del fotone, che dipende dalla frequenza, è maggiore di quella minima necessaria per estrarre l’elettrone allora c’è l’effetto fotoelettrico; esso dipende dalla frequenza perché dalla frequenza dipende l’energia del fotone;

  2. il numero di elettroni emessi è direttamente proporzionale all’intensità dell’onda e. m. cioè è proporzionale al numero di fotoni (particelle) presenti nel fascio di luce; maggiore è l’intensità del fascio maggiore sono i fotoni e maggiore sarà il numero di elettroni emessi;

  3. l’energia cinetica degli elettroni emessi è direttamente proporzionale alla frequenza ω (lunghezza d’onda) dell’onda e.m. incidente: l’energia dell’elettrone si determina tramite la formula di Einstein e non è altro che l’energia del fotone meno il lavoro di estrazione dell’elettrone (funzione lavoro) Eel = ħ ω – L

La formula di Einstein venne verificata sperimentalmente da Millikan.

La spiegazione dell’effetto fotoelettico condusse Einstein a vincere nel 1921 il premio Nobel.

Con la spiegazione di Einstein all’effetto fotoelettrico tramite l’introduzione di particelle di luce di energia E = h ω apre la strada ad una conferma della spiegazione dello spettro del corpo nero cioè spiega perché l’energia dello spettro del campo elettromagnetico all’equilibrio non assume valori continui ma discreti (multipli interi di h ω) secondo il numero di fotoni n che forniscono un’energia n h ω. Essendo il numero di fotoni un numero naturale, l’energia è discretizzata anche se essendo h molto piccola a livello macroscopico non risentiamo la sua discretizzazione.

Con le equazioni di Maxwell e gli esperimenti di interferenza e diffrazione si pensava di essere giunti finalmente alla conclusione che la luce era un’onda elettromagnetica. L‘introduzione dei pacchetti di energia metteva in discussione tutto ciò. Ma come si suol dire in medio stat virtus: la luce in certe occasioni (interferenza, diffrazione) si comporta come un’onda, in altri casi (effetto fotoelettrico) si comporta come un insieme di corpuscoli.

Prof. Vito Egidio Mosca
Imparare la Fisica

Pubblicato da impararelafisica

Come è bello conoscere tante cose e non saperne altre, ma è ancora più bello scoprirne delle nuove anche se già scoperte da altri. Mosca Vito Egidio, Docente di Matematica e Fisica, Liceo Scientifico. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2009 dell'AIF. Vincitore del Premio Antonella Bastai Prat 2016 dell'AIF.