MODELLO DELL’ATOMO DI BOHR
Nel 1913 N. Bohr propose delle ipotesi di miglioramento del modello planetario di Rutherford in modo da rendere stabile la rotazione dell’elettrone intorno al nucleo e in modo da spiegare la posizione delle righe spettrali osservate nello spettro di emissione e assorbimento degli atomi. Le tre ipotesi su cui si basa il modello dell’atomo di Bohr sono:
-
stabilità delle orbite: gli elettroni ruotano intorno al nucleo su orbite stabili in quanto la forza di attrazione di Coulomb è uguale alla forza centripeta
Fcoulomb = Fcentripeta => k e² / r² = m v² / r
in modo simile alla stabilità delle orbite dei pianeti; dalla precedente ricaviamo che:
m v2 r = k e2
inoltre l’elettrone su tali orbite non emette radiazioni (il motivo di questa non emissione di radiazioni non viene spiegata da Bohr);
-
quantizzazione del momento angolare: tra le orbite stabili, sono consentite solo quelle (circolari di raggio r) che hanno il momento angolare (L = p r = mv r) uguale a un multiplo intero della costante di Planck ħ: mvr = nħ con n = 1, 2, 3 … ; tale ipotesi di quantizzazione del momento angolare venne meglio chiarita nel 1923 quando si comprese con De Broglie che l’elettrone aveva anche un comportamento ondulatorio oltre che corpuscolare; riassumiamo le varie informazioni:
-
p = mv;
-
mvr = nħ (quantizzazione del momento angolare).
-
Dalla 1 e 3 sappiamo che:
p r = n ħ => p = n ħ / r
e uguagliando il secondo membro con quello in 2 abbiamo che
n ħ / r = 2π ħ /λ
semplificando ħ è possibile ricavare che
2π r = n λ
cioè la condizione di quantizzazione del momento angolare corrisponde al fatto che la circonferenza dell’orbita dell’elettrone (2πr) deve essere pari a un numero intero della lunghezza d’onda (nλ) cioè, per avere un’onda stazionaria che non irradia, nell’orbita deve entrare un numero intero di volte la lunghezza d’onda;
-
transizione tra due orbite con emissione o assorbimento: essendo previste in tale modello soltanto alcune orbite, quando gli elettroni saltano da un’orbita permessa ad un’altra assorbono o emettono radiazioni elettromagnetiche (fotoni) di energia ben precise E = ħ ω pari alla differenza di energia tra le due orbite consentite in modo da mantenere la conservazione di energia. Quindi non tutte le righe di emissione o di assorbimento sono permesse ma lo sono soltanto quelle che corrispondono al passaggio dell’elettrone da un’orbita consentita ad un’altra.
In particolare, dall’equazione di stabilità dell’orbita (m v2r = k e2) e dalla quantizzazione del momento angolare (mvr = nħ => v = n ħ / (m r)) si può ricavare il raggio (sostituendo v = n ħ / (m r) in m v2r = k e2) e la velocità dell’elettrone nell’orbita (rispetto alla velocità c della luce):
r = n² ħ²/ (m k e²) => r = n² r1 con r1 = ħ2 /(m k e2) = 5,29 · 10‾¹¹ m = raggio di Bohr;
Sostituendo tale r in v = n ħ / (m r):
v = k e² / (n ħ) => v / c = k e² / (n ħ c) =>v / c = α / n
dove α = k e2 / (ħ c) = 1/137 che è detta costante di struttura fine (numero puro);
ricordiamo che n = 1 (per la prima orb22ita), 2 (per la seconda orbita), 3 … , quindi per un elettrone dell’atomo di idrogeno nell’orbita più vicina al nucleo (n = 1) il raggio della sua orbita è di circa 0,53 · 10–8 cm e la sua velocità è di circa 1/137 volte la velocità c della luce.
Con il modello dell’atomo di Bohr riusciamo quindi a fare tre previsioni:
-
il raggio dell’orbita su cui si muove l’elettrone;
-
la velocità con cui si muove l’elettrone nella sua orbita;
-
l’energia dell’orbita (serve per calcolare gli spettri di emissione/assorbimento che dipendono dalla differenza di energia tra due orbite).
L’energia di un’orbita è sostanzialmente la somma di un’energia cinetica (Ec = 1/2 m v2) e di un’energia potenziale (Ep = – k e2/r); ricordando la condizione di stabilità dell’orbita mv2r = k e2, è possibile ricavare k e2/r = mv2. Perciò l’energia potenziale diventa Ep = – mv2 e quindi l’energia totale non è altro che:
Et = Ec + Ep = 1/2 m v2 – m v2 = – 1/2 m v2
Ricordando la velocità dell’elettrone nell’orbita v/c = α/n, si può ricavare v2 = α2c2 /n2 e sostituendo si ottiene:
Et = – m c2 α2/(2n2) => Et = – R/n2 con R = 1/2 mc2α2 = 13,6 eV nota come costante di Rydberg
dove mc2 è l’energia a riposo dell’elettrone e α2 = 1/1372.
Quindi l’orbita più piccola (n = 1) ha un’energia di circa –13,6 eV che corrisponde all’energia che devo fornire all’atomo di idrogeno per sottrargli l’elettrone e ionizzarlo.
Notiamo che ricompare nuovamente la dipendenza da un numero intero n; in particolare quando si calcolano le energie dei fotoni emessi/assorbiti nel passaggio da un’orbita consentita m ad un’altra n si ha che l’energia del fotone ħω = h ω/2π e ricordando che ω = 2π/T = 2π c/λ si ha che ħω = h c/λ. Tale energia sarà uguale alla differenza fra l’energia dell’orbita n ed m per cui risulta:
ħω = h c/λ = En – Em = – R/n2 – (–R/m2) = R (1/m2 – 1/n2)
Quindi nel passaggio da un’orbita più esterna ad una più interna verrà liberato un fotone con energia che è pari alla differenza dell’inverso di quadrati di due numeri interi; per passare da un’orbita più vicino al nucleo ad una più esterna, si dovrà fornire un’energia data dalla formula precedente che è in accordo con i dati sperimentali e con la formula di Rydberg.